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A review by fedallah
Il dono by Vladimir Nabokov
4.0
«Ti è mai capitato, lettore, di provare la sottile tristezza della separazione da una dimora non amata? Il cuore non si spezza come quando salutiamo per sempre gli oggetti a noi cari. Lo sguardo inumidito non vaga tutt'intorno trattenendo una lacrima come se volesse portare via in essa il tremolante riverbero del luogo abbandonato, ma nell'angolo più bello dell'anima proviamo compassione per le cose che non abbiamo ravvivato con la nostra presenza, per le cose che abbiamo appena notato e ora lasciamo per sempre.»
Bello, bellissimo anzi.
Richiede attenzione ma soprattutto passione, se non amore estremo per la vera grande protagonista del romanzo: la letteratura russa.
Come già detto da altri, Il dono non è un libro facilissimo, e sì, nonostante penso sia accessibile a tutti, diventa più coinvolgente se si ha la fissa per Puškin, Tolstoj, Gogol’ e via dicendo. Ma sarebbe ancora meglio avere ben presente chi sia Černyševskij, autore di Che fare?, uno dei romanzi più importanti della storia russa/sovietica ma anche mondiale, se pensiamo al peso che ha avuto su uno dei due “Il'ič che hanno rovinato la Russia”, giusto per (semi)citare una frase del libro. Tutta l’opera ruota infatti attorno a questi due elementi, e nonostante ritenga che non sia obbligatorio aver letto il libro di Černyševskij, è però vero che ad un certo punto la lettura potrebbe diventare ulteriormente pesante e poco coinvolgente. Perché sì, pur avendo amato il libro, è innegabile che dopo circa cento pagine, il tutto inizi a rallentare, per non parlare del famoso quarto capitolo, ostico ma fondamentale.
Ma è qui che secondo me si vede il genio di Nabokov.
Nonostante la pesantezza di alcuni momenti, lo stile e la ricercatezza del linguaggio catturano e trasportano il lettore verso il centro dell’opera: l’amore dell’autore per la letteratura russa e la Russia pre-sovietica. Nabokov disprezzava Lenin e tutto quello che è venuto con lui e dopo di lui (arte, letteratura, architettura…), era un nostalgico vero, puro, uno di quelli che probabilmente si sarebbe emozionato davanti ai quadri di Aivazovsky, Savrasov e che avrebbe gettato autori come Ostrovskij o Okudzava nelle fiamme se tale gesto gli avrebbe permesso di riportare in vita Dostoevskij, Saltykov-Ščedrin ed in particolare Tolstoj.
«Provò un'improvvisa fitta di amarezza - perché in Russia tutto era diventato così scadente, così grigio e approssimativo, cosa l'aveva resa così stupida e ottusa? O forse l'antico anelito che spingeva "verso la luce" nascondeva un vizio fatale che era divenuto sempre più evidente man mano che ci si avvicinava alla meta, finché non s'era scoperto che quella "luce" era accesa dietro le finestre di una guardia carceraria? Quando aveva avuto inizio quella strana dipendenza tra l'acuirsi della sete e l'intorbidirsi della sorgente?»
“Il dono” è quindi l’eredità culturale e letteraria che Nabokov ha ricevuto dalla sua terra/non-terra. Tutto il romanzo è infatti costruito sfruttando situazioni e personaggi tipici degli autori russi, ed è bello cogliere i riferimenti sparsi praticamente ovunque. Non si tratta ovviamente di un plagio, ma più che altro di un gioco stilistico che coinvolge anche il protagonista Fëdor Kostantinovic Godunov-Cerdincev, che in fin dei conti rivive la vita dell’autore nel periodo in cui visse a Berlino decidendo così di lasciare per sempre la madrepatria. Il peso e il dolore di questa decisione, la mancanza di un ambiente a lui vicino, si fanno sentire per tutto il lavoro, anche grazie alle descrizioni che riguardano i migranti russi arrivati nella capitale tedesca.
Emozionante.
«Non sarà il caso di rinunciare una volta per tutte a qualsiasi nostalgia, a qualsiasi patria tranne quella che è con me, dentro di me, che si è attaccata come argentea sabbia di mare alle suole delle scarpe, che vive negli occhi, nel sangue, che dà spessore e profondità allo sfondo di ogni speranza? Un giorno, staccandomi dalle mie carte, guarderò fuori dalla finestra e vedrò l'autunno russo.»